l Festival del pensiero popolare / Palio di San Rocco Pellegrino è stato diretto dal sottoscritto, a partire dal 2009 fino al 2019. Il Festival nacque grazie a due associazioni che allora dirigevo: il Teatrino dei Fondi e la Filarmonica Giuseppe Verdi (qui ero solo presidente), la prima ha lavorato al Festival solo l’anno di debutto, mentre la seconda l’intero periodo.Sono stati dieci anni molto belli, esaltanti, di fatiche immani, ma anche di enormi soddisfazioni. L’idea che mi ha stimolato è stata quella di far incontrare cultura alta e persone comuni. Un mondo che non aveva avuto stimoli, se non quelli banali della cultura cosiddetta di massa, poteva incrociarsi con i numerosi personaggi, che si sono avvicendati nelle varie edizioni del Festival, da Dacia Maraini a Giuliano Scabia, da Riccardo Marasco a Fernando Arrabal, da Don Backy a Paolo Coccheri, da Adriano Prosperi fino a Marilina Veca e a mons. Andrea Migliavacca. Con piazze strapiene, da piazza Buonaparte a piazza XX Settembre, per pomeriggi intensissimi realizzati incontrando figure centrali nella cultura italiana e internazionale, con spettacoli teatrali davvero unici, come quelli di Dacia Maraini con Federica Di Martino o di Fernando Arrabal con Mila Moretti e Sergio Aguirre, con spettacoli musicali, commoventi proiezioni di film, come quelle dei Taviani, di Arrabal, ma anche di autori meno famosi, sebbene a noi vicini, come Beppe Chelli e Daniele Benvenuti o come Mattia Catarcioni e Alessandro Gelli, che davanti ad una platea sterminata hanno proiettato il loro film di esordio, “Bomba libero tutti!”.Insomma giorni intensissimi, che spesso iniziavano al mattino per concludersi a tarda notte, usando tutti gli spazi dello Scioa, in particolare la casa di riposo, la RSA Del Campana Guazzesi che si apriva prima per sette, negli ultimi anni per nove giorni, al nostro lavoro, alla realizzazione di un ristorante gestito dalla Filarmonica Giuseppe Verdi e quasi completamente realizzato dalla capacità tecnica e dall’amore di Moreno Ciulli, che in questo decennio ha collaborato alla realizzazione del Palio di San Rocco, fatto anche di altri momenti singolari, come le cene in piazza, il lancio del Buttafumo (la versione sanminiatese del Botafumeiro di Santiago), l’uscita di una formidabile macchina scenica che l’artista Giulio Greco ha dedicato proprio a San Rocco.
Del resto, il Festival è stato ricco anche di tante serate fuori programma, realizzate da persone che attraversavano la città, camminatori della Francigena o altre presenze che si sono avvicendate negli anni. Ne segnaliamo soltanto una, quella per noi più emozionante, improvvisata insieme ai richiedenti asilo ospiti della Casa della Pace di Collegalli (gestita dal Movimento Shalom). Doveva durare solo un quarto d’ora e invece è andata avanti per un’intera serata. Fu un intenso fuori programma, tra narrazione, canti e danze etniche, un vero viaggio nei mondi, perché accanto agli africani, di varie nazioni sub sahariane, c’erano alcuni pakistani, poi a loro si è unito Kassim Bajatly, professore all’Università di Mosul, in Iraq, o meglio in un container a sessanta chilometri da una città devastata dalla guerra; alla serata hanno partecipato in molti, italiani e stranieri, tra l’altro Beatrice Blake e suo marito Hugo (che invece venivano dall’Inghilterra), che hanno voluto tradurre in italiano, dall’inglese e dal francese, lingue con le quali si esprimevano alcuni degli attori in scena. Certo, il momento più intenso della serata è stato quando Kassim si è alzato, iniziando a ballare il Sufi, questa inquietante danza religiosa, tipica delle sue zone. Il professor Bajatly è uno studioso e maestro di queste danze, per questo l’ho invitato ad entrare in scena. Lui si è messo a girare su se stesso, mentre io non sapevo quello che sarebbe successo. La danza però è un linguaggio universale, Patrick, un giovane camerunense, ha iniziato a muoversi davanti a lui, mimando i movimenti della tigre. Il pubblico ha capito la magia dell’azione, da lì in poi anche altri sono entrati in gioco. Ne è nato uno degli spettacoli più emozionanti a cui chi era presente avesse mai assistito. La luce della notte avvolgeva l’azione, ma il teatro continuava alla luce dei cellulari, con l’intensità dell’amore e della speranza tra gli uomini.
Nel segno dell’amore e della speranza siamo arrivati anche al passaggio. La fine (e l’inizio) della nostra avventura (il seguito per altri). Cos’è un passaggio, almeno un passaggio in questi anni inquieti? Il passaggio può essere un’evoluzione, ma anche tante altre cose, ben più rischiose. Il passaggio del mare, ad esempio, è una parentesi di grande pericolo, e può significare anche miglioramento. Le persone del sud del mondo cercano di passare da uno stato di fame e di sudditanza, a qualcosa di meglio, anche se nella sofferenza del distacco, dagli affetti e dalla consuetudine di una “cultura” che a casa loro ancora esiste. Si passa appunto la Frontiera, tra l’oggi e il domani.Anch’io ho appunto passato il mio punto di non ritorno. Ho attraversato frontiere, meccanismi di vita e di pensiero. Sono cresciuto e adesso l'ultimo di questi passaggi mi ha consigliato di lasciare il testimone del Festival del pensiero popolare. Ero lì sull’orlo, al bordo, sul confine, potevo decidere di concludere la mia esperienza, rischiando di far finire una manifestazione che è diventata davvero unica e importante, oppure – come per fortuna è successo – trovare qualcuno che avrebbe potuto portarla avanti, verso il suo domani. Ho avuto fortuna, ho incontrato uno straordinario gruppo di persone, non solo Francesco Mugnari, la loro giovanissima guida. Li avevo ammirati in splendide azioni di teatro di comunità, con decine, centinaia di attori coinvolti, e ho passato a loro il testimone. Viva, dunque, il Festival del pensiero popolare / Palio di San Rocco Pellegrino. Nato lungo il cammino della Via Francigena, per i viaggiatori di ieri e di oggi. Viva!