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Ogni volta che

Produzione teatrale

Di e con: Marina Capezzone
Regia: Francesco Mugnari
Produzione: Tra i Binari

“Ogni volta che entro in contatto con un uomo la mia vita smette di esistere e prende il senso del sacrificio, che io porto avanti per non dimenticare le donne della mia famiglia”

La performance è un primo studio che si incentra sulla creazione di un rito collettivo che si sviluppa tra attrice e pubblico, capace di mettere in discussione il rapporto relazionale tra gli esseri umani, con provocazioni e suggestioni visive e sonore.
Una donna entra nella scena  senza tempo e senza luogo, una sacerdotessa che porta la memoria di tutte le donne che l'hanno preceduta e apre la cerimonia per festeggiare la loro presenza.
Il rito evocherà immagini,parole e suoni per andare a scardinare la costruzione della relazione dipendente e narcisistica, per disinnescare i processi di consumo e uso dell'altro, rompendo così i legami con la cultura capitalistica dei corpi e dei sentimenti.

GENESI
Le forme di oppressione rappresentate sono di diversa natura, da quelle promosse dalla società, dalle famiglie, dai mariti o compagni a quelle più interne, culturali, che creano nella donna stessa autolimiti e autosottomissioni. Da qui deriva il nome del titolo “Ogni volta che”, partendo dal presupposto che ogni volta che entro in contatto con un uomo la mia vita cessa di esistere e prende il senso del sacrificio che io porto avanti per non dimenticare le donne della mia famiglia. Il percorso narrativo nasce dal tentativo di decolonizzare il corpo femminile da tutte quelle pratiche di dominio, manipolazione e sottomissione. Nessuna retorica, nessuna risposta, solo domande, interrogativi, storie del quotidiano femminile. Solo un tentativo condiviso, un momento di riflessione comunitaria, tra personaggio e pubblico, sul disinnesco dei processi di uso e sfruttamento dell’altro per rompere i legami con la cultura capitalistica dei corpi e dei sentimenti.

NOTE DRAMMATURGICHE
I testi prodotti sono scritti provenienti da esperienze di vita dell’attrice Marina Capezzone e prendono ispirazione dal libro di Jude Ellison Sady Doyke “Il mostruoso femminile”.
Inoltre viene elaborato come testo finale la poesia di Mariangela Gualtieri “Caino”.
I canti portati in scena sono “Blanca niña” e “Puncha Puncha” del repertorio sefardita femminile del diciottesimo secolo. La scelta si basa sul fatto che originariamente erano cantati da donne, ufficialmente proibiti dai rabbini perché ritenuti lascivi e senza anima. La necessità di usare questi canti nasce quindi dall’uso di canti popolari come espressione dell’identità personale femminile nelle società tradizionali.
NOTE DI REGIA
La ritualità sta al centro del processo di creazione, ecco che la scelta dello spazio scenico circolare, la luce soffusa e il potenziamento degli oggetti della scena sono vissuti e proposti in senso arcaico e archetipico. La presentazione si articola con gli elementi chiave del mondo ritualistico alternandosi tra il canto, la profezia e la trasformazione.
Sulla scena gli elementi essenziali. Lo sfondo ha un cerchio di candele accese.
L’atto teatrale si apre con una preparazione del corpo della donna-sacerdotessa che guiderà l’azione: una macina che prepara il colore per il volto e dell'acqua che purifica e benedice il proprio corpo. Una volta passato in rassegna il corpo si accoglie il pubblico con una benedizione accompagnata dal primo canto - Blanca niña.
Lo spazio prende forma: la natura fatta di pietre, erbe e conchiglie recupera la sua sacralità e apre il rito.
Si introduce il tema aprendo al secondo monologo. In questa parte si aziona la potenza della donna, che raccogliendo la propria eredità la ritualizza in una coreografia guerriera - montaggio ispirato al Kalaripayattu (arte Marziale Indiana). L'azione termina con la chiamata di un canto - Puncha Puncha -  che accompagnerà un processo di comunione con il pubblico. La protagonista consegna messaggi che racchiudono domande - il pubblico viene invitato a leggere ad alta voce sovrapponendo queste parole al canto.
Questo ponte ci porta ad una trasformazione. La sacerdotessa porta la voce di un terzo. Quasi in una sorta di possessione si procede con la crudezza della vicenda fino a raggiungerne la propria crocifissione.
Buio. Restano soltanto le candele sullo sfondo.
Si apre la profezia finale. La donna entra in contatto con il fuoco.
Procedendo nel testo epilogo dell’opera, entra nel cerchio e come in un rogo scompare e chiude il rito.

ESIGENZE TECNICHE
Lo spettacolo, per quanto adattabile ad ogni contesto scenico, si basa sulla realizzazione di due cerchi tangenti. Uno prevede la disposizione del pubblico in cerchio con al centro l’azione scenica. L’altro, sullo sfondo, colloca un cerchio di candele.
Spazio scenico minimo: 4x4 metri.
Illuminazione:
- due fari PC da 1000 watt dimmerabili uno frontale l’altro di contro. La loro direzione si colloca al centro dello spazio scenico.
Uso di candele.

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